Il camioncino arriva presto.
Lo usano alle saline, la cabina è devastata dalla ruggine. Tutta da ricostruire.
Franco mi aiuta a smontare il parabrezza. Operazione delicata.
Lo rompo e saluto la paga di tre settimane, se basta!
Ma io lo tratto come la testa di un gattino e... tutto a posto!
Parto dal girovetri, a rientrare nel cruscotto, che fa tutt'uno con le lamiere esterne.
Poi il bordo degli sportelli, accoppiato al guscio interno in un labbro gonfio di ossido marrone. Pulire, tagliare, sagoma di cartone, lamiera nuova, martellare, presentare, saldare giusto, a filo, finire con lo smeriglio.
Domenica sera. Anche la capotta è ammaccata, qualche scemo ci è salito sopra, alle saline. Franco ha finito. Va a ballare, lui. – Tu cosa fai? – Io rimango.
Le capotte sono maledette, lo sapevo. Non hanno nervature, batti da una parte e si gonfiano dall'altra, tiri e si affossano. Delicate e dispettose. Notte in bianco ma vinco io.
Alle otto l'officina riapre. Sono dentro ma non mi faccio vedere. Fingo di arrivare in quel momento, sporco e con gli occhi gonfi. Aspetto. Il vecchio non degna di uno sguardo né il Leoncino né me. Invece ha visto tutto bene, e mi fa rabbia.
– C'è da ritirare un pezzo. Vai di corsa. – Il ragazzo non si deve montare la testa.
A mezzogiorno arriva il perito delle Generali, a stimare il danno di una Giulia.
Di passaggio i complimenti per il Leoncino: – Gran bel lavoro! –
Il vecchio incassa lui e sorride mentre accarezza col palmo della mano le pezze di lamiera fresche. Fatte da me.